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Il tuo hotel è una commodity?

Notizia del giorno: Bookingpuntocom ha raggiunto UN MILIONE di strutture a catalogo.

Nota interessante: questo numero è raddoppiato negli ultimi due anni.

Significa che nel 2014 le strutture erano 500.000.

Dentro c’è di tutto: imbarcazioni (!), case, ville, castelli, appartamenti, agriturismi, residence, hotel e resort.

Ora ti faccio una domanda: quante saranno queste strutture nel 2018? Due milioni? Molto probabile.

E cosa significa tutto questo per te?

Che la pacchia sta per finire.

Mi spiego meglio.

Fino a 3-4 anni fa, all’inizio della vera esplosione di Booking, era tutto più facile.

Bastava aprirsi il proprio account sul grande fratello blu, lavorare sodo, dare un buon servizio, correggere gli errori riscontrati dalle recensioni e magicamente, se la destinazione non era proprio fuori dalle cartine GPS, iniziavano ad arrivare prenotazioni. A getto più o meno continuo.

Ora è sempre più dura.

Con 1 MILIONE di strutture a catalogo, se il tuo hotel non mira ad un target ben preciso con un’identità forte, torna ad essere quello che era nel 2008: una commodity. Solo che oggi c’è molta più offerta.

Che cos’è una commodity?

Ti cito Wikipedia:

“una commodity è un bene per cui c’è domanda ma che è offerto senza differenze qualitative sul mercato ed è fungibile, cioè il prodotto è lo stesso indipendentemente da chi lo produce, come per esempio il petrolio, l’oro, il caffè e il legname.”

Te la faccio più brutta?

Il cliente medio, che usa Booking per prenotare, non capisce la differenza.

Certo, può leggere i giudizi, filtrare la posizione e le caratteristiche ma, con UN MILIONE di strutture a catalogo, una volta rispettati i requisiti, prenotare un hotel o l’altro diventa solo una questione di prezzo, condannando gli hotel ad una “guerra tra poveri”.

Te ne dico un’altra?

Non puoi neanche più pensare che “il cliente di Booking non è un buon cliente.”

Il cliente di Booking ormai è CHIUNQUE.

Sono io, sei te, è tua zia.

Con UN MILIONE di strutture a catalogo, oggi siamo di fronte al Google degli hotel.

E, che ti piaccia o no, il dominio sarà sempre più netto in futuro.

Tant’è che perfino Google, rendendosi conto degli investimenti e delle risorse necessarie per contrastarlo, ha rinunciato.

Ora la domanda è molto semplice:

Vuoi rimanere nel frullatore delle centinaia di migliaia di hotel ugualoidi nel mondo, diventare sempre più ostaggio delle commissioni di chi tira i fili e scannarti con i tuoi competitor per una differenza di 5 €?

Continua pure, ma almeno io potrò dire di averti avvisato.

In caso contrario, c’è una sola cosa che puoi fare.

Trasformare il tuo hotel in un brand.

Il “problema” è che per farlo dovrai imparare come creare un identità unica, selezionare il tuo target in maniera chirurgica e formulare una promessa forte in grado di farti diventare l’unica opzione possibile per i clienti che HAI scelto.

Una volta fatto ciò avrai letteralmente dematerializzato i tuoi competitor.

Nel senso che non esisteranno più.

Come dici? Non sai da dove cominciare?

Sei fortunato, “Trasforma il tuo hotel in un brand” è il titolo di uno dei 7 speech del primo evento Albergatore Pro che terremo a settembre.

Ti svelerò personalmente il metodo scientifico step-by-step per creare un identità unica per il tuo hotel, scoprirai cos’è veramente il marketing strategico e ti accorgerai che non c’entra niente con quello che ti hanno raccontato fino ad oggi.

P.s. Se stai valutando una ristrutturazione del tuo hotel, non azzardarti neanche a muovere un mattone senza sapere di cosa sto parlando.

Rendersi conto di aver sbagliato strada quando ormai è troppo tardi, potrebbe costarti qualche milione di euro.

Ci vediamo a settembre!


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L'amico campione

Scrivo giusto due righe al volo per rendere onore al merito del nostro amico Stefano Viola titolare del Grand Hotel Le Rocce di Gaeta.

Si, lo so. Non bisognerebbe fare “pubblicità”.

Ma in questo caso faccio volentieri un eccezione a scopo didattico.

Ho conosciuto Stefano 5 anni fa, in un pomeriggio di primavera presso la sua struttura e in quell’occasione stava valutando di cambiare il suo vecchio gestionale.

Abbiamo avuto una riunione fiume con lui e il papà, che è uno di quegli albergatori bravissimi ma molto vecchia scuola, di quelli che quando provi a vendergli qualcosa, sai che già che sarà una battaglia durissima.

Beh, in quell’occasione ha vinto lui, e nonostante tre ore di demo, sono ripartito per Napoli senza contratto (e mi sono anche perso il primo tempo dell’Inter che quella sera giocava in Champions League).

Ma forse avevo lasciato un’impronta.

E infatti, di lì a poco, ci siamo risentiti e, telefonata dopo telefonata, mail dopo mail, siamo riusciti a partire con il software per l’estate successiva.

Da quel momento io e Stefano ci siamo conosciuti meglio e col tempo il nostro rapporto è diventato molto più del semplice dialogo cliente-fornitore.

Oggi considero Stefano veramente un Amico, anche se la nostra amicizia prosegue con pochi contatti reali e molti virtuali.

Ma non è di questo che voglio parlarti stasera.

Voglio parlarti di un ragazzo che ha gestito il ricambio generazionale in maniera esemplare, entrando in sala di comando in punta di piedi e conquistandosi la fiducia del padre passo-dopo-passo a colpi di prenotazioni.

Da quel giorno Stefano ha fatto davvero passi da gigante e con lui il suo hotel.

Ma c’è di più.

Posso dire che siamo cresciuti insieme, lui come albergatore e io come professionista.

Perché clienti come Stefano ti portano sempre a cercare nuove soluzioni e ti spingono a ottenere il massimo dagli strumenti che gli dai a disposizione.

In questi anni abbiamo avuto anche migliaia di conversazioni scritte via mail, sms, Skype, WhatsApp e, ogni volta, ognuno di noi, ha SEMPRE offerto all’altro nuovi spunti di riflessione e nuove strategie.

Come se non bastasse, una volta l’ho anche trascinato a Roma in una delle mie consuete trasferte formative.

Nel frattempo il suo hotel in 5 anni ha praticamente RADDOPPIATO il fatturato.

Giusto per farti capire che non parliamo solo di chiacchiere.

Bene, questa sera Stefano mi ha girato un link per farmi sapere che il Grand Hotel Le Rocce è stato eletto da Trivago “miglior hotel sul mare del Lazio“.

E un’altra cosa: hai presente quando gli albergatori disillusi dicono che il booking engine non funziona e che per quanto spendi non riuscirai mai a generare più prenotazioni dirette dal tuo sito di quante ne arrivano da bookingpuntocom?

Ecco, Stefano ha rotto anche questo luogo comune ed ora il suo booking engine vince tipo 60% contro 40%.

P.S. Ci tengo a precisare che in tutto quanto descritto io non ho NESSUN merito se non quello di mero fornitore di tecnologia.

Stefano ha fatto tutto da solo, perché è un campione ed è uno di quei tipi “verticali” che se si interessa di una cosa, scava ogni giorno in profondità fino ad arrivare al centro della terra.

P.P.S. Se non scoppia di prenotazioni anche a settembre (ma so già che sarà così) potrete conoscere Stefano personalmente al prossimo evento Albergatore Pro.


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La piscina di John Lennon e le tue newsletter

In questi giorni non sto andando fisicamente in ufficio e, anche se nei fatti non ho mai smesso di lavorare, sto dedicando più attenzione ad alcune piccole cose.

Ad esempio sto leggendo alcune mail che di solito cancellerei solo dall’oggetto.

Chiariamoci, non sono matto e non parlo di email che ricevo da persone che conosco.

Semplicemente, come capita a tutti, sono stato “buttato dentro” a qualche newsletter da qualcuno che, per altri motivi, ha il mio indirizzo mail.

Non che sia un grosso problema, per carità.

Ma tecnicamente questo si chiama SPAM e, nel caso tu non lo sappia, se non hai il consenso di inviare mail a qualcuno, quando gliele invii stai facendo SPAM.

Anche se gli mandi una super-offerta super-conveniente.

Aggiungi che abito a Riccione e ricevo email di offerte anche da Hotel di Riccione e capirai che, come minimo, alcuni albergatori fanno scarso filtro sui destinatari considerando che molto difficilmente potrei andare in vacanza a 450 metri da casa mia.

Quindi facciamo che NON sono in target.

Ma anche se lo fossi, funzionerebbero?

Partiamo dall’oggetto:

Mamma, portami in vacanza a Riccione!

In tutta la mail questa è “la meno peggio”.

Non cattura, non è memorabile, ma sempre meglio del classico “Offerta agosto Riccione”.

Quindi male ma non malissimo.

Ma il testo??

“Sogni di passare un po’ di tempo insieme ai tuoi piccoli?”

E poi SBAM.

Offerta tirata in faccia con date e prezzi.

Ma fate sul serio??

In questo caso mi sento di andare giù pesante perché sono certo che la mail NON l’ha scritta l’albergatore ma la web-agency a cui l’ha commissionata.

Ma veramente pensate di vendere qualcosa a qualcuno con UNA mail a 10 giorni dalla data con 10 parole???

Ma cosa vi fumate?

Non so perché devo sempre ritrovarmi a fare la parte del cattivo ma mi pare di capire che anche questa volta tocca a me dirti la verità.

NON SAI COSA STAI FACENDO.

Sai come si chiama tecnicamente quella roba che chiami “inviare una mail con un’offerta”?

COPYWRITING.

E si da il caso che il copywriting è una materia tecnica, con tanto di padri fondatori, autori, testi didattici e corsi fisici e virtuali.

Significa scrivere per vendere.

E per farlo ci vuole qualcosina in più di UNA mail con DIECI parole.

O meglio, in teoria potrebbero bastare, così come a Maradona sarebbe bastato toccare il pallone 10 volte per vincere una partita.

Solo che ne tu, ne chi scrive per te è Maradona.

Chiaro?

Ora, ti renderai conto che fare una cosa di cui non hai la minima idea, non è la cosa più sensata da fare.

Esattamente come non lo sarebbe mettersi al volante in tangenziale a Milano di lunedì mattina, senza patente e senza aver mai fatto una guida di prova prima.

Sei d’accordo?

Ora che abbiamo fatto le dovute premesse ti spiego anche quali sono i parametri giusti per valutare l’efficacia delle tue email: €€€

Fine.

Il copywriting, che ripeto, è l’arte di scrivere per vendere, si misura SOLO ED ESCLUSIVAMENTE dal valore economico degli acquisti effettuati da chi legge i tuoi testi.

Poi ci sono casi in cui l’azione che vuoi far compiere al lettore non è un acquisto, ma compilare dei dati, prenotare una visita guidata della struttura, darti un feedback sul soggiorno, ma questa è un’altra storia.

Quindi, per favore daI retta a me.

La prossima volta che i fenomeni da tastiera della tua web agency ti sbrodolano addosso le statistiche di apertura, lettura e click fa una cosa:

tappati le orecchie con le mani e inizia a cantare come quando eri all’asilo e non volevi ascoltare quel bambino che vi stava antipatico.

Poi, quando vedi che la bocca non si muove più e sei sicuro che hanno finito di parlare, stappati le orecchie e fagli solo una domanda:

Quanti soldi mi ha portato questa offerta?

Che poi, in teoria, questo dovresti essere in grado di misurarlo te tracciando le informazioni sul tuo gestionale.

Ora scherzi a parte, dico davvero.

“Quanto ha prodotto in prenotazioni” è l’unica cosa a cui devi rispondere per valutare una mail che contiene un’offerta.

Quindi, per prima cosa mettiti in condizione di poter controllare questo dato.

Dopo di che, non ti resta che sospendere immediatamente tutti gli invii che NON generano risultati.

Prima di chiudere, voglio lasciarti con un aneddoto che gira nel mondo del copywriting che mi ha molto colpito la prima volta che l’ho ascoltato.

Lo condivido perché penso possa essere utile anche a te per capire meglio cosa intendo dire con il post di oggi.

Una volta un giornalista stava intervistando John Lennon, star dei Beatles, nonché autore della maggior parte dei testi di alcune delle più grandi hit del secolo, firmate dai 4 della band di Liverpool.

In particolare scelse di fargli una domanda proprio in merito al processo di stesura dei suoi pezzi:

“Normalmente John, quando scrivi, ti lasci ispirare dalla tua creatività o segui una sorta di processo logico?”

“Dipende se mi servono soldi”, rispose John. “La maggior parte delle volte do libero spazio alla mia fantasia, ma se voglio comprarmi una piscina, mi siedo e ne scrivo una.

Questa risposta mi ha lasciato di sasso.

Ammetto che su due piedi non l’ho capita e mi è sembrata più una di quelle risposte naif da giovane artista in preda ai fumi di qualche sostanza.

Invece, quello che intendeva dire il lucidissimo John, è che ormai, dopo anni di successi, aveva capito benissimo come impostare il canovaccio di un grande hit, e che, seguendo quello schema, sarebbe stato in grado di scrivere una canzone di successo ogni volta che voleva.

Un successo talmente grande che coi soldi incassati avrebbe tranquillamente potuto pagarsi una nuova piscina, se avesse voluto.

Ora, che lezione puoi imparare da questa storia?

Ti dico cosa ho imparato io.

Dopo 3 anni di blogging, 50 articoli, oltre 200 newsletter inviate e diverse centinaia di post scritti su Facebook, il mio modo di scrivere è molto cambiato.

Anche io all’inizio mi crogiolavo sulle statistiche e mi facevo bello di percentuali di apertura e click.

E ti assicuro che erano bei numeri.

Inoltre cercavo di essere serio, professionale, gentile e stavo molto attento che i miei testi non “disturbassero” nessuno.

Tutta roba che con il copywriting non c’entra niente.

Finché un bel giorno ho scritto una mail “di pancia” in un momento di rabbia.

L’ho butta giù così come veniva. Ti dico la verità, ce l’avevo con il mondo in quel momento e ho scritto più per sfogarmi che non per ottenere chissà quale risultato.

In particolare ce l’avevo con un consulente incapace che aveva dato un pessimo consiglio ad un mio cliente, e ce l’avevo anche con il mio cliente che aveva ascolto lui invece che me, buttando via un sacco di soldi.

Così sono stato estremamente sincero e “politicamente scorretto”.

Beh, quella mail mi ha fruttato 3 contatti. Che in pochi giorni sono diventati 3 contratti.

E la cosa divertente è che le % di lettura e click facevano schifo. Un disastro rispetto al solito.

Quel giorno ho capito due importanti lezioni sul copywriting:

1. Le statistiche non contano niente.

2. Quanto più sincero e spontaneo sei quando scrivi, tanto più il tuo messaggio sarà polarizzante.

Qualcuno ti amerà e qualcuno ti odierà per quello che sei e quello che scrivi, ma se parliamo di copywrting, è meglio avere 3 persone che ti amano e diventano tuoi clienti (e magari 97 che non ti leggono), piuttosto che avere 100 lettori che ti considerano gentile ed educato ma non ti compreranno mai niente.

In sostanza quello che ti consiglio di fare è SMETTERE DI DELEGARE e iniziare a scrivere DI TUO PUGNO cose che riguardano te e il tuo hotel.

Non preoccuparti, non devi inventarti niente.

Ti basta raccontare la tua storia, perché hai iniziato a fare questo mestiere, cosa ti piace di quello che fai e cosa non ti piace, quello che succede tutti i giorni in hotel, i problemi che hanno i tuoi clienti, come tu li aiuti a risolverli.

All’inizio i testi faranno schifo, poi col tempo migliorerai.

Fino a quando non otterrai le prime conversioni e sarai in grado di capire cos’ha funzionato nella mail che ha generato risultati.

E così via in un continuo percorso di test, studio, correzioni, nuovi test e migliori risultati.

P.s. Se te lo stai chiedendo la risposta è no.

Nessuna call to action stavolta. Non ho infoprodotti sul copywriting da vendere, ne ci saranno speech su questo argomento all’evento Albergatore Pro di settembre.

Semplicemente perché sto studiando copy seriamente da “solo 2 anni” e non mi sento abbastanza padrone della materia per pensare di fare uno speech su questo argomento.

Poi probabilmente ne so più del 99% di coloro per mestiere scrivono anche newsletter per gli albergatori…solo che IO NON sono un ciarlatano.


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L'uomo che crea le destinazioni

Il signore che fa nascere le destinazioni turistiche si chiama CarloMaria Grassi, il NY Times lo definisce un hotel designer, ma il suo lavoro, in estrema sintesi è “prendere una struttura, costruire una storia e creare una destinazione tutto intorno”.

Oggi la sua attenzione si focalizza invece su prodotti di nicchia.

Come La Moresca: quindici camere, cura maniacale del dettaglio sia nel restauro sia nell’offerta.

Lo ammetto, sono quasi commosso.

Per una volta un ESPERTO vero che parla semplice e manda un messaggio forte e chiaro e a tutti i fanfaroni che si auto-celebrano Destination Manager.

Questo signore qua, che ha letteralmente inventato due destinazioni come Kamarina e Limone, è stato intervistato dal New York Times per parlare delle di strategie di marketing territoriale.

“Il lusso oggi è fatto di nicchie – dice Grassi. – Una volta si ragionava in termini di charter, oggi ogni destinazione deve ragionare in termini di unic selling proposition per essere attrattiva.

È necessario, quindi, che la struttura si integri con il territorio che la circonda, che diventi veicolo del territorio. Il valore aggiunto è l’autenticità e la condivisione di esperienze”.

Il lusso, in sostanza, “è vendere coerenza – dice Grassi – fra struttura e territorio, fra quello che si promette e quello che arriva al cliente. Il cliente di lusso non vuole delusioni, si aspetta che il prezzo rispecchi appieno la qualità, vuole essere accolto e accudito, dalla struttura e dalla destinazione”.

Ora, pare ovvio che la stragrande maggioranza degli albergatori italiani NON hanno il budget per lavorare con il Signor Grassi.

Ma cogliere il messaggio di chi ha già dimostrato di “saper fare” in termini di marketing turistico è invece ALLA PORTATA DI TUTTI.

Quindi se devi ripensare al brand della tua struttura (o alla tua destinazione), tieni bene a mente questi due concetti:

==> Identità differenziante: trova un’idea unica che ti distingua dagli altri.

==> Identità coerente: fa in modo di mantenere la tua promessa di vendita in modo coerente al tuo messaggio, alla tua struttura e al territorio che la ospita.

Dal vangelo secondo Grassi.


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Il web marketing NON esiste

No, non sono impazzito.

E se te lo dice uno che vende software per le prenotazioni on-line, ha un blog con 1.500 iscritti, 1.000 contatti su Linkedin e gestisce un gruppo su Facebook, forse dovresti continuare a leggere…

Una delle cose più interessanti che ho imparato in questi anni di studi e ricerche sul marketing e la sua evoluzione nel tempo, è l’enorme differenza culturale tra Stati Uniti (e paesi anglofoni in generale) e l’Italia.

Stati Uniti d’America vs. Stati Dis-uniti d’Italia

Mentre negli Stati Uniti, con milioni di persone che parlano la stessa lingua, il mercato è ultra competitivo da sempre, in Italia ci sono diversi fattori che hanno contribuito a rendere lo scenario completamente diverso.

1. La guerra: dopo la fine della seconda guerra mondiale l’Italia è un paese fisicamente distrutto.

E’ tutto da rifare.

Di conseguenza chiunque apra una nuova attività si trova in automatico una fila di clienti alla porta, che ha bisogno di TUTTO.

E questo vale per qualunque settore e professione: fornai, elettricisti, muratori, società di trasporti fino ad arrivare a professionisti come avvocati, notai e commercialisti. Se te lo stai chiedendo si, anche per gli hotel vale la stessa cosa.

E’ evidente come in un contesto del genere fare marketing non serve. Basta fare bene il prodotto (o dare un buon servizio) e i clienti continueranno ad acquistare e generare passaparola.

Questo fenomeno ha reso gli italiani molto più artigiani che imprenditori e, a onore del vero, ha contribuito a farci primeggiare nella qualità dei prodotti che in alcuni casi hanno raggiunto lo status di eccellenze mondiali.

Ma, come detto, di marketing neanche l’ombra.

2. Diffidenza culturale: per quanto uniti sotto la stessa bandiera, l’Italia è di fatto un insieme di stati indipendenti, meglio conosciuti come regioni, che hanno differenze culturali enormi tra loro e una profonda sfiducia verso ciò che arriva da “oltre confine” (Maledetto Garibaldi!).

SIAMO IL PAESE DEI RIVENDITORI.

Per decenni, anche per grandi aziende come FIAT, è stato letteralmente impossibile vendere nelle diverse regioni senza “un aborigeno” che ci mettesse la faccia.

Gli Italiani vogliono la macchina che vedono in TV ma la vogliono comprare da Marco, Andrea, Antonio e Salvatore “Perché così se ho un problema ci vado a casa a quello lì”.

3. Credito facile: finito il boom del dopoguerra e della “ricostruzione” ci ha pensato il sistema bancario a “drogare” l’economia italiana concedendo soldi allegramente a chiunque avesse una partita iva e fosse in grado di far girare quattrini.

Ti stai chiedendo cosa c’entra questo con il marketing?

C’entra eccome, perché il marketing è quella scienza strategica che consente ad un azienda di differenziarsi dalle altre evidenziando la propria unicità per vendere a prezzo più alto ed AUMENTARE i margini.

Ma con banche pronte a elargire capitali a chiunque ne faccia richiesta, chi ha voglia di sbattersi con il marketing per fare cassa?

Tanto basta una telefonata, no?

E poi si continua a fare un euro in meno dei concorrenti, fino al prossimo fido!

Finché dura…

Ora, nel 2008 è successo un bel casino.

La crisi finanziaria ha fatto saltare il sistema bancario e ha scatenato un effetto a catena che ha letteralmente spazzato via tutti i protagonisti che non avevano i requisiti per restare sul mercato.

E se non fosse per la povera gente che è rimasta a casa da un giorno all’altro e per le famiglie che ne hanno sofferto, l’effetto sarebbe da considerarsi positivo.

Infatti gli imprenditori sopravvissuti si sono svegliati e si sono rimboccati le maniche alla ricerca di nuovi clienti.

Dove? Sul web!

Si, perché mentre la crisi brandiva la sua scure, internet cresceva alla velocità della luce e in Italia si diffondevano “nuovi” fenomeni come la lead generation, il copywriting e il marketing a risposta diretta.

E siccome la stragrande maggioranza degli imprenditori non avevano le basi minime, i guru dell’on-line sono cresciuti come funghi approfittando di clienti che non avevano le difese immunitarie per difendersi dalle supercazzole.

Ora: perché ti dico che il web marketing non esiste?

Semplicemente perché non esiste un marketing “diverso” che può essere applicato solo on-line.

La faccenda è molto più semplice: o ne sai di marketing, o non ne sai.

E se non conosci i principi fondamentali del marketing, non puoi minimamente pensare di muoverti on-line senza farti fregare dal santone di turno.

E ti svelo un altro segreto: se uno ne sa di marketing, intendo ne sa sul serio di marketing, se la passa bene.

Quindi se il tuo consulente web-marketing è in regime dei minimi “perché altrimenti in Italia con le tasse ti ammazzano”, io un paio di domande me le farei.

Vediamo alcune delle famigerate strategie on-line che in America sono sempre esistite anche off-line:

==> Landing page: si chiamava “mezza pagina di giornale”. Mettevi il tuo annuncio su una rivista specializzata (a seconda del settore) e invece del bottone “clicca qui” c’era un bel numero verde da chiamare.

Do you remember?

==> Newsletter: ti ricordi il posta-target? Gli albergatori romagnoli se lo ricordano sicuramente perché sono sempre stati cintura nera di cartoline cartacee e biglietti di auguri via posta.

==> Gruppi su Facebook: si chiamavano seminari e in America è dagli anni 50 che commerciali, conferenzieri e imprenditori in generale affittano sale in giro per il paese per creare relazione con clienti e potenziali clienti.

==> Offerte a tempo, bonus regalo: sono sempre esistite e ancora esistono in qualsiasi store che faccia capo ad una catena o una società con un minimo di strategia commerciale.

Sei mai entrato da Sephora con tua moglie?

Ok, anche per oggi la predica è finita e siamo giunti alla morale.

Quando ti propongono una nuova strategia di web-marketing, prima ancora di valutarla, pensa se è una cosa che si potrebbe fare anche off-line, nel mondo REALE.

Se la risposta è si, assicurati che sia possibile misurare il ritorno di investimento e fai un test.

Se la risposta è no, scappa più veloce che puoi.

Se invece non sai rispondere a questa domanda, beh, fatti consigliare da uno che di hotel e marketing ne sa qualcosa, sono qui apposta!

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L'uomo da 9,4 MILIARDI di dollari

Chi mi conosce sa che ho sempre avuto grande passione per la formazione.

Corsi di vendita, pubblic speaking, copywriting, marketing e tutto ciò che può aiutarmi a migliorare personalmente e professionalmente rappresentano la principale voce di costo del mio bilancio personale.

Certo, ho preso anche qualche fregatura, ma in generale sono soldi spesi benissimo che sono tornati moltiplicati con gli interessi.

Nel corso della mia esperienza ho incontrato docenti di 3 livelli: ciarlatani, motivatori, professionisti veri.

Ma da domani per 4 giorni vivrò un’avventura veramente speciale. Qualcosa di diverso da tutto quello che ho già visto.

Parteciperò ad un corso di marketing con Jay Abraham che viene a Riccione ospite di un importante formatore italiano.

Come dici? Non sai chi è Jay Abraham?

Te la faccio semplice: Jay Abraham è il più GRANDE esperto di marketing al mondo.

Meglio conosciuto come l’uomo da 9,4 MILIARDI di dollari.

Che poi sarebbe la cifra complessiva (aggiornata a qualche anno fa) che ha fatto guadagnare ai suoi clienti (Microsoft, Fedex e il New York Times giusto per citarne 3 a caso) con le sue campagne.

Ti stai chiedendo perché dovrebbe interessarti come spendo i miei soldi?

Semplice, perché dopo QUATTRO giorni in sala con il più grande esperto di marketing AL MONDO, tornerò a casa con decine di strategie UNICHE che Jay ha studiato appositamente per il mercato italiano.

A quel punto mi metterò a studiare come se non ci fosse un domani per applicare quello che ho imparato nel nostro settore e tirerò fuori materiali BOMBA per l hotel marketing.

Roba mai vista.

E magari chissà, se fai il bravo qualcosa ti racconterò anche qua.

Stay tuned!


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Vecchio modello d'acquisto vs Nuovo modello d'acquisto

Uno dei concetti più interessanti che mi sono portato a casa dal corso della settimana scorsa è il cambiamento del modello di acquisto nel corso degli ultimi vent’anni e di come questo ha letteralmente spazzato via le vecchie regole e gli imprenditori che non sono riusciti ad adeguarsi.

In un contesto di “business trasversale” fino a 20 anni fa ci trovavamo di fronte ad un modello composto di 3 diversi livelli:

1. Al vertice della piramide c’erano le grandi aziende che vendevano tanto ma solo ed esclusivamente tramite intermediari: pensa aNnike, Apple, Armani per fare solo 3 esempi.

Vendevano tramite market, supermarket o in generale tramite “rivenditori” che rappresentavano il secondo livello.

2. Il secondo livello era composto appunto dai “supermarket”: pensa ai vecchi “grandi magazzini”, ai supermercati nell’alimentare e ai rivenditori di computer e tecnologia in generale.

3. Al terzo livello c’era la bottega di paese: l’alimentari, il piccolo negozio di elettrodomestici e il negozio d’abbigliamento di grido, quello dove si comprava “il vestito buono” per la domenica.

Ora, ti sarai già accorto che questo livello NON esiste praticamente più: Ikea ha aperto uno store in ogni città che ritiene minimamente interessante, Apple fa lo stesso, Nike idem, Coop e Conad sono ormai in qualsiasi paese con almeno 10.000 anime.

Questo significa che non c’è più spazio per i piccoli negozianti?

Non esattamente.

Ma prima di chiarire meglio il concetto vediamo ora come l’esempio si adatta al nostro settore.

Nel turismo avveniva esattamente la stessa cosa:

1. Al primo livello c’erano i grandi tour operator: i più grandicelli ricorderanno Francorosso, Turisanda, Alpitour.

Queste grandi aziende facevano numeri enormi ed erano talmente “mainstream” da permettersi spot in TV. Ricordi la famosa pubblicità: “Turista fai da te? No Alpitour?”

2. Come in tutti gli altri business, anche nel turismo i tour operator vendevano indirettamente tramite intermediari dislocati sul territorio che rappresentano il livello 2: le agenzie viaggi di paese.

Queste avevano letteralmente il monopolio delle informazioni e decidevano insindacabilmente gli alberghi migliori e peggiori in base ai contratti stipulati.

Vuoi fare di testa tua? Vai in Egitto (paese a caso) e prova, ma se poi ti rovini la vacanza non venire a piangere da me.

3. Al terzo livello c’erano gli hotel indipendenti, che riuscivano ad attirare direttamente la domanda dei turisti “avventurosi”, che preferivano costruirsi la vacanza da soli e, sempre a causa della scarsità di informazioni dell’era pre-internet, avevano OTTIME possibilità di fidelizzare il cliente che, se si era trovato bene, per non sbagliare tornava spontaneamente per anni.

E ora?

Ora le OTA hanno spazzato via tutto.

I tour operator che sono rimasti off-line si sono estinti come dinosauri e le agenzie di paese continuano a servire pochi clienti over-50 con margini ridotti ai minimi termini.

Quindi non è più possibile vendere direttamente per un piccolo negoziante o un albergatore indipendente?

Certo che si. Ma devi diventare Top of Mind.

Tradotto: devi occupare una posizione unica e rilevante nella testa del tuo cliente in target.

Come il negozietto specializzato nell’attrezzatura per pescatori che ha la fila alla porta perché ha cose che gli appassionati trovano SOLO da lui ed è sempre pronto a rivelare un segreto su come prendere il pesce più grosso o suggerire il lago dove si becca di più (segnati questo punto).

Facciamo qualche esempio del nostro settore?

===> Il Cavallino bianco family hotel di Ortisei: premiato per anni da Tripadvisor come miglior hotel per famiglie AL MONDO.

E’ unico. Vende a prezzi spaventosi, NON è sulle OTA ed è praticamente impossibile trovare camere disponibili in qualsiasi periodo dell’anno.

==> L‘Adler di Bagno Vignoni in toscana. Più volte premiato come miglior hotel spa in Europa. Sempre pieno, prezzi altissimi, servizio super.

==> Belvedere Riccione. Miglior hotel su Tripadvisor in Italia con una struttura “normale”, è famosissimo per la sua spa ed ha una richiesta enorme, anche d’inverno, anche durante la settimana.

Cos’hanno in comune questi hotel?

Sono TOP of Mind.

Significano qualcosa nella testa del cliente in target.

Te lo dico in altre parole?

Hanno creato un BRAND.

E tu? A che punto sei?

Il tuo hotel è unico e conosciuto per qualcosa in particolare?

Significa qualcosa nella testa dei tuoi clienti in target o è uno dei 200 hotel della lista di Booking nella tua destinazione?

E tu sei in grado di aggiungere valore all’esperienza come fa il venditore di canne da pesca con i pescatori?

Se continui a vendere un prodotto indifferenziato, sarai costretto a fare la guerra dei prezzi, con uno sforzo enorme di gestione delle tariffe, altissimi costi di intermediazione e il rischio costante di essere scartato a favore del tuo concorrente che fa 2 € in meno.

P.s. Nel frattempo ho iniziato a studiare i 15 (QUINDICI) chili di libri sul branding che mi hanno lasciato al corso.

Ho in mente grandi novità.


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La legge della preminenza

Il corso è stato veramente clamoroso.

In 4 giorni ho ascoltato, analizzato e studiato piú tecniche di marketing reali e testate di quante ne abbia mai sentite in tutta la mia vita.

Un’esplosione di nozioni, strategie e protocolli.

Cose pratiche da fare oggi, cose da fare tra un anno, cose da fare tra 5 anni.

Jay Abraham è un alieno.

Ha risposto live alle domande di 50 imprenditori, che chiedevano aiuto per problemi con i loro business più disparati e in tempo zero ha dato ad ognuno 3 consigli per risolvere la situazione.

Così, sull’unghia.

Ha raccontato decine di storie, di aneddoti bellissimi, di casistiche legate a clienti personali che ha seguito in oltre 30 settori diversi.

Un pozzo di sapere.

Nei prossimi giorni ti racconterò qualcosa in più.

Ma se adesso dovessi trametterti in eredità un concetto su tutti, la cosa che più mi ha colpito, è la legge della preminenza.

Secondo la legge della preminenza se la tua azienda assomiglia a quella dei tuoi concorrenti, allora hai fallito come imprenditore.

Il tuo obiettivo è di essere UNICO, svettare sugli altri, mettendo il cliente al centro, per aiutarlo nel suo MIGLIOR INTERESSE.

Riscoprire la vera missione dell’essere imprenditori significa aiutare il tuo cliente ad avere una vita migliore, in qualunque modo tu possa farlo coi tuoi prodotti e servizi.

Lo so che sembra filosofia, ma se vai oltre l’apparenza scoprirai che è un concetto molto più concreto di quello che sembra.

Pensaci la prossima volta che metti la spalla cotta invece del prosciutto sul buffet delle colazioni, per risparmiare 50 centesimi.


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Scegli la destinazione o diventa destinazione

“In Italia, il turismo nelle città d’arte è cresciuto nell’ultimo ventennio a un ritmo del +3,5% all’anno, arrivando a generare una spesa complessiva di oltre 16 miliardi.”

“Nel dettaglio, dal 1995 al 2015 il turismo culturale è cresciuto del 114% negli arrivi (circa 21 milioni) e del 100% nelle presenze (circa 53 milioni)”.

Direttamente dalla categoria faq (frequent asked question, domande più frequenti) del mio blog:

“Ciao Gian Marco, ho N anni, un paio d’anni fa ho preso in gestione un hotel a “posto mai sentito nominare” e ho grossi problemi di risultati.

Ho pochissima domanda, ricevo poche prenotazioni e il fatturato non basta a coprire i costi.

Puoi darmi una mano? Cosa mi consigli di fare?”

Ora, premesso che in questi casi la mia emotività prevale sull’analisi tecnica perché sono sinceramente dispiaciuto quando mi scrivono per raccontarmi difficoltà, qui il miglior consiglio che potrei dare è molto semplice:

“Chiudi.”

Mi spiego meglio: quando si valuta la gestione di una struttura alberghiera, il primo dei tanti fattori da considerare in ordine di importanza è la destinazione.

La destinazione è una sorta di paracadute.

Conosco personalmente decine di albergatori che non sono qualificati per esercitare la professione e si salvano soltanto grazie ad un brand di destinazione forte, che ancora oggi consente loro di lavorare senza capire niente di quello che stanno facendo dal punto di vista marketing.

Ma non tutti sono così fortunati.

Se la destinazione è debole, se non c’è una domanda che fa “da rimorchio” all’hotel, il gioco si fa molto più complicato.

Facciamo un esempio di una piazza che conosco come le mie tasche: Riccione.

Se prendi un hotel in gestione a Riccione devi letteralmente suicidarti per non riuscire a pagare le bollette.

Se la struttura è decorosa (ma a volte anche se non lo è), se lo staff è competente, se i servizi sono appena sufficienti rispetto al target, la barca sta a galla comunque.

Nonostante i listini, nonostante la propensione alla formazione prossima allo zero, nonostante improponibili siti anni ’90.

Lo so che è assurdo ma è così.

Mi converrebbe raccontarti che se non studi, se non investiti in tecnologia, se non ti affidi a professionisti qualificati fallirai, ma la realtà mi smentisce ogni settimana.

E io sono uno a cui piace guardarla in faccia la realtà.

Ma se prendi un hotel a (nome a caso) Castelfidardo non sei così fortunato.

E neanche il revenue management ti salverà.

Perchè il revenue management consente di monetizzare al massimo la domanda esistente e (in minima parte) di condizionarla.

Ma una tariffa dinamica non trasforma il mare di Grado nel mare di Portocervo.

In quel caso l’unica salvezza è una strategia di marketing mirata che sia in grado di trasformare il tuo hotel in una destinazione unica e talmente attrattiva da portare clienti dove normalmente non verrebbero.

Ma funziona veramente?

Si.

Solo che è un percorso lungo e complicato e per intraprenderlo ci vogliono competenze profonde ed esperienza.

E il 99,99% degli albergatori italiani non sono in grado di fare questo viaggio da soli.

Quindi se il tuo hotel non è in una destinazione con un brand, non hai scelta.

Devi creare il tuo brand

La brutta notizia è che da solo non hai speranza.

La buona notizia è che se ti affidi a un professionista puoi farcela.

Ma se pensi di poterlo fare dopo 2 anni di risultati negativi, quando hai esaurito le tue risorse finanziare, quando la banca non ti da più credito, ho un altra brutta notizia. Ormai è troppo tardi.

Il marketing va impostato prima dell’apertura con obiettivi e scadenze a medio-lungo termine e risorse finanziare sufficienti per mandare avanti la baracca fino a quando riesci a monetizzare i risultati.

Scegli la destinazione o diventa destinazione.

Io ti ho avvisato!


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