La mia VERA missione e il pallone di Space Jam
La mia VERA missione e il pallone di Space Jam
In queste ore sono in uno stato d’animo TOTALMENTE innaturale.
Svuotato ma felice.
Stordito ma soddisfatto.
Stanco ma leggero.
Insomma, ci siamo capiti.
Ora, in tutto questo frullato emozionale sto ricevendo ininterrottamente una serie messaggi MERAVIGLIOSI di ringraziamenti per il corso.
Roba che farebbe decollare su Marte anche il più umile tra gli umili.
Poi per fortuna penso alle parole di Arrigo Sacchi, penso agli insegnamenti ricevuti dalla mia famiglia e da tutte le persone che ho conosciuto in questi anni e cerco di darmi una spiegazione razionale.
L’ho detto mille volte.
Io NON sono un genio.
Perdo il cellulare, le chiavi, mi chiudo fuori casa, brucio le uova mentre scrivo un post su Facebook…
Tutte cose che mi capitano piuttosto spesso e mi squalificano dalla possibilità di vincere un Nobel per la scienza.
Detto questo, so diverse cose riguardo l’hotel e forse sono capace di “unire i puntini” come mi hanno detto diversi di voi in questi giorni…
Oltre a questo mi piace il basket (che alla fine c’entra sempre).
Si, perché per cercare di spiegare quello che voglio trasmettervi con questo post, mi è tornata in mente una scena del mitico film Space Jam, con Michael Jordan.
Ora, nel caso fossi uno di quei pochi sciagurati a non averlo visto, spiego subito di cosa si tratta.
Nel film una banda di alieni, scendono sulla terra decisi a rapire i Looney Tunes (Bugs bunny, Daffy duck, ecc…) per farli diventare l’attrazione di un parco giochi su un pianeta immaginario.
Vedendoli molto bassi, Bugs e soci decidono di sfidarli a basket.
Se vincono restano, se perdono si trasferiscono.
A questo punto però, disposti a tutto per non perdere, gli alieni decidono di “rubare” il talento ai migliori giocatori del NBA.
Per farlo usano un un pallone da basket in grado di assorbire il talento dalle mani dei campioni (scena nella foto).
Ecco, proprio ora che ti stavi appassionando alla storia, torniamo a noi…
Perché io ho quel QUEL pallone.
E questo è il mio talento.
Nel mio continuo viaggiare, incontrare, studiare e confrontarmi con i migliori Albergatori in Italia, assorbo il vostro talento.
Ma NON lo rubo, perché a voi rimane.
Al contrario, il patto è molto più NOBILE.
Io vi trasmetto tutto quello che ho imparato dai grandi Albergatori che ho conosciuto prima di voi, e voi in cambio mi trasferite le vostre conoscenze, i vostri valori, i vostri segreti.
In un circolo virtuoso che ci rende sempre più pieni di talenti da condividere con chiunque sarà abbastanza illuminato da concedere i propri, per lasciarsi illuminare.
Questo è il seme che da origine alla nostra comunità.
Questo è il virus che sta rendendo l’Italia degli albergatori un posto migliore, più aperto, più consapevole e più vincente.
Una SQUADRA che ha abbandonato la tattica del difendere i propri segreti, abbracciando la strategia di condividerli, per moltiplicarli.
Un gruppo di centinaia di persone che giocano all’attacco, in un paese che gioca in difesa…
Questa è la mia MISSIONE.
Questo è il principio alla base di Albergatore Pro.
Grazie a TUTTI voi che con la vostra fiducia rendete possibile tutto questo.
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Proprietà e gestione: divisione tra eredi
Dato che ultimamente mi capita almeno una volta a settimana di affrontare i problemi derivanti dalla questione “eredità”, ho deciso di condividere la mia esperienza nella speranza possa essere utile a qualcuno.
Nella fattispecie, la situazione in assoluto più complessa si verifica quando diversi eredi, che hanno fatto scelte di vita diverse, risultano essere ugualmente soci di una società a cui fanno capo sia la proprietà dell’immobile, sia la gestione alberghiera.
Per prima cosa fughiamo ogni dubbio: tolte le questioni emotive, questa soluzione a lungo termine è assolutamente insostenibile, sia per questioni di responsabilità, che di merito.
Infatti, se da una parte l’albergo può essere considerato alla stregua di una qualunque proprietà immobiliare da dividere equamente, dall’altra è a tutti gli effetti un’AZIENDA da gestire secondo determinati criteri di merito.
La faccio più semplice.
Se ci sono tre fratelli (o due fratelli e un coniuge), ma SOLO UNO gestisce di fatto l’azienda, la cosa giusta da fare è SEPARARE la proprietà dell’immobile dalla gestione alberghiera.
In pratica, l’unico erede che gestisce crea una società di gestione (preferibilmente una S.r.l.) capace di prendere in affitto l’azienda alberghiera, riconoscendo poi alla società proprietaria dell’immobile un canone di mercato (eventualmente al netto di quanto gli spetta per le sue quote dell’immobile).
Esempio: se sul mercato un hotel vale €200.000 di canone, chi lo gestisce crea una società di gestione con la quale paga il canone alla società che detiene l’immobile.
Nel caso in cui, ipoteticamente, fosse proprietario di 1/3 dell’immobile, potrebbe riconoscere un canone pari a €133.000 (200/3*2).
In questo modo il gestore sarebbe totalmente autonomo nelle scelte operative: cambiare o non cambiare le tv, assumere o non assumere il cugino, investire o dividere gli utili.
Allo stesso tempo, gli altri soci percepirebbero una rendita nella forma di canone sufficiente per far fronte al pagamento di IMU e manutenzioni straordinarie.
Se, invece, il canone fosse pagato per intero a causa di rate pregresse particolarmente impegnative, sarebbe doveroso inserire all’interno dello stesso una quota % da destinare al mantenimento dello standard.
A tal proposito, nei contratti di management internazionali, esiste un’apposita clausola definita FF&E (Furniture, Fixture & Equipment) che regola gli standard in termini di impianti, mobili, arredi e attrezzature.
In questo modo una quota del canone viene accantonata ogni anno con lo scopo di creare una riserva finalizzata al mantenimento della competitività della struttura. Il tutto senza creare una ogni volta dispute sulle singole scelte.
In assenza di questo tipo di accordi, la “coabitazione” forzata crea una trafila infinita di fastidi da entrambe le parti che finiscono con il logorare i rapporti fino a trasformarsi in vere e proprie guerre di successione.
Chi non gestisce, infatti, non vorrà mai cambiare il forno “perché quello che abbiamo funziona benissimo”, mentre chi gestisce finirà per accumulare un fastidio inguaribile nei confronti dei fratelli che “in estate vanno al mare mentre io sto qui a spaccarmi la schiena”.
Ovviamente la questione è delicata e va affrontata con il massimo della sensibilità facendosi supportare da professionisti super-partes ma, nel grosso… la soluzione è tutta in questo post.
Ogni tentativo di gestirla in modalità “fatebenefratelli”, per quanto animato da buona fede iniziale, si tramuterà in una faida che finirà per rovinare affari e famiglia.
Poi non dite che non vi avevo avvisato.
Procedure e delega: liberati dal senso di colpa e fai crescere il tuo hotel!
Nella terza Masterclass 2023 abbiamo fatto il punto insieme a 70 albergatori per quanto riguarda lo staff e abbiamo rilevato qualche piccolo miglioramento rispetto al biennio appena trascorso.
Chiariamoci, i professionisti qualificati sono rari come l’acqua nel deserto, le persone continuano ad essere mediamente inaffidabili ma, se non altro, il numero di candidati che rispondono agli annunci cresce sensibilmente rispetto alla carestia assoluta del periodo Covid.
A fronte di tutto ciò, in un contesto dove i prezzi salgono e le prenotazioni continuano ad arrivare, la gestione dello staff ha decisamente scalato la classifica delle priorità per gli albergatori.
Come sempre ci tengo ad essere onesto, la situazione di partenza non è delle migliori…
La maggior parte degli hotel ancora non ha un organigramma, un po’ per scarsa attenzione al problema, un po’ perché la generazione precedente ha tramandato il modello del “tutti fanno tutto” che, se anni fa poteva ancora funzionare (per lo meno in strutture di piccole dimensioni), oggi, con il livello di responsabilità delle nuove generazioni di lavoratori, diventa assolutamente controproducente.
Ecco perché è importante che tutti i collaboratori abbiano chiari i ruoli e il flusso di comunicazione, in modo da sapere a chi rivolgersi quando si presenta un problema.
Sappiamo tutti che in hotel i problemi sono all’ordine del giorno e, se non si chiarisce il flusso di comunicazione, chiunque abbia un problema si rivolgerà direttamente a te, distraendoti da quelle che sono le tue vere priorità.
Altro aspetto fondamentale sono le procedure, ma da questo punto di vista siamo relativamente “fortunati”.
Infatti, per quanto l’hotel sia oggettivamente un sistema complesso, è costituito da 4 reparti principali con funzioni specifiche e complementari: ricevimento, housekeeping, sala, cucina.
Certo, in strutture di grandi dimensioni sono presenti manutentori, giardinieri, può esserci una spa, ma una volta definiti i ruoli e coordinati i 4 settori principali di cui sopra, la spina dorsale dell’organizzazione è fatta e, di conseguenza, gestire i flussi risulta sicuramente più semplice.
Nello specifico, durante i due giorni di Masterclass, abbiamo diviso la classe in gruppi, ognuno dei quali ha lavorato sulle procedure di uno dei 4 reparti, condividendo le diverse esperienze e realizzando una guida che presenta dei principi fondamentali che possiamo considerare uno standard, con le relative declinazioni in funzione delle tipicità strutturali e organizzative.
Come detto, da questo punto di vista andiamo leggermente meglio rispetto all’organigramma, nel senso che molti hotel partono con delle procedure di base che, però, sono solitamente troppo sintetiche o, al contrario, troppo elaborate.
Il problema sta nel fatto che, se le procedure sono troppo sintetiche, richiedono spiegazioni aggiuntive e continue interruzioni del flusso lavorativo. Se, invece, per ogni reparto si crea un vangelo di 30 pagine, il risultato è che il manuale viene letto (forse) il primo giorno di lavoro e poi finisce nel cruscotto della macchina o in un cassetto della scrivania.
Secondo la mia esperienza, il modello più funzionale è un manuale basato principalmente su elenchi puntati e numerati, “modello check-list”, che non superi le 3 pagine per reparto.
A questo, ovviamente, sarà possibile integrare una sezione di video brevi per procedure specifiche tipo: pulire la macchina del caffè, disinserire l’allarme antincendio, sbloccare la cassaforte, impostare il condizionatore.
Dopodiché arriva il momento dell’’applicazione e qui si apre un altro discorso infinito. Infatti, molto spesso, anche chi ha investito tempo per creare un organigramma e guide funzionali, alla prova sul campo risulta allergico alla delega.
Di seguito ti riporto lo schema tipo più diffuso che si ripete più o meno all’infinito:
- creo procedure;
- condivido procedure;
- si presenta un problema;
- un addetto prova a risolverlo (o dice di averci provato) senza riuscirci;
- viene a chiedere aiuto a me direttamente;
- intervengo per risolvere (“perché tanto questo non capisce e faccio prima a farlo che a spiegarlo”).
Ora, se pensi che il processo che ti ho presentato qui sopra sia un’eccezione, ti assicuro che ti sbagli. Te lo dice uno che incontra centinaia di albergatori all’anno e ne visita altrettanti di diversa dimensione e classificazione.
Proviamo a capire insieme i motivi di un malcostume che, più o meno inconsapevolmente, causa danni per decine di migliaia di euro (quando non sono centinaia) ad ogni albergatore che lo commette.
Il primo, per mia esperienza, è costituito dalla confusione nel distinguere urgenze e priorità. Facciamo quindi un breve ripasso.
Urgenza: un’attività che non è possibile rimandare perché richiede di essere risolta immediatamente.
Esempio: un tubo che perde, un condizionatore rotto in una giornata con 40 gradi all’ombra, un ospite che perde un bagaglio pochi minuti dopo l’arrivo.
Priorità: un’attività strategica, di primaria importanza, il cui svolgimento ha un impatto economico ed organizzativo determinante per la gestione dell’hotel.
Esempio: selezione e gestione delle persone, creazione di un piano marketing strategico, gestione dei prezzi, controllo di gestione, pianificazione fiscale.
Ora, nel caso servisse ricordarlo, nella mia famiglia siamo alla quarta generazione di albergatori e so perfettamente che gli esempi riportati nella categoria “urgenze” sono situazioni importanti da gestire con la massima attenzione.
La differenza sta nel fatto che, se sono io il gestore, delle urgenze devo occuparmene occasionalmente (2-3 volte l’anno, 1 volta al mese massimo), mentre delle priorità devo occuparmene personalmente sempre. Per lo meno fino a quando, se le dimensioni della struttura me lo consentono, non sono in grado di delegarle, almeno in parte, a qualcuno che sia altamente specializzato, ma che comunque dovrò affiancare prima e controllare poi.
Qual è il motivo di questa netta distinzione e assegnazione dei compiti?
Solitamente nei master di gestione aziendale si spiega il concetto di valore del tempo.
Esempio: se la mia azienda fattura €1.000.000 in 365 giorni di apertura e io sono responsabile dei risultati, una mia giornata di lavoro vale €2.700. Ora dividi il valore di una giornata per il numero di ore lavorate e trova il valore di una tua ora di lavoro.
Nel caso dell’esempio, se lavorassi 10 ore al giorno, il valore di una mia ora di lavoro sarebbe circa €270.
Capisci bene che se dedico una mia ora di lavoro a fare il manutentore per sbloccare una cassaforte, non sto facendo un impiego intelligente del mio tempo, specialmente se mentre lo faccio sto “rubando tempo” alle mie vere priorità come imprenditore. Per completare il discorso, se un manutentore o un collaboratore costano €15 l’ora per le attività a basso valore aggiunto, delegarle è una mia responsabilità nei confronti dell’azienda che dirigo.
Ora mi sembra già di sentirti…
“Eh, ma io conosco la casa da 30 anni, come lo faccio io non lo fa nessuno”.
Devi creare una procedura e aggiornarla fino a quando, leggendola, i tuoi collaboratori non riusciranno a svolgere la funzione in autonomia.
“Eh, ma io di ore ne faccio 16 quindi al massimo dormo meno, ma faccio tutto”.
Poi non lamentarti se quando passano i momenti di picco sei STREMATO, odi questo lavoro e non riesci più a relazionarti con i clienti. O, ancora peggio, inizi a pagare con la TUA SALUTE.
Riassunto, puoi occuparti dei lavori a basso valore aggiunto SOLO:
- dopo aver gestito le PRIORITA’;
- dopo aver creato delle procedure che permettano ad altri di svolgere quelle attività in tua assenza;
- se ti appagano personalmente e li consideri un hobby (tipo annaffiare le piante in giardino), MA SOLO DOPO AVER RISPETTATO I PUNTI PRECEDENTI.
“Però Gian Marco, il discorso sul valore del tempo lascia il tempo che trova perché anche i miei nonni fatturavano, ma trovavano comunque il tempo per riparare i lavandini, accompagnare i clienti in stazione, servire ai tavoli, etc.”.
Certo, chiaro, ma i tuoi nonni…
- Dovevano leggere e rispondere alle recensioni?
- Dovevano aggiornare le OTA?
- Dovevano gestire i prezzi dinamici?
- Dovevano occuparsi di creare, monitorare campagne di advertising e aggiornare i social network?
- Dovevano investire un budget per cercare il personale, pensare a piani incentivi, benefit e insegnare le basi dell’educazione ai membri dello staff?
- Dovevano configurare e gestire le decine di software che usi quotidianamente per svolgere le attività lavorative?
Te lo dico io… No che non lo facevano, perché lavoravano in un’altra epoca. Un’epoca sicuramente più difficile da un punto di sacrifici fisici, ma assolutamente privilegiata in termini di mercato.
Infatti, fino a 20 anni fa, in Italia gli hotel avevano “i clienti di cittadinanza”. L’unico ostacolo al raggiungimento del fatturato erano la pioggia al mare e la mancanza di neve in montagna, fine.
Ora capisci bene che, con il fatturato “praticamente garantito”, le uniche strategie che facevano davvero la differenza sulla marginalità erano:
- compra solo dai fornitori che costano meno per risparmiare;
- lavora più che puoi per risparmiare sui dipendenti.
In un contesto del genere era assolutamente normale, quasi doveroso, occuparsi di certe cose. Se non lo avessero fatto, di cos’altro si sarebbero dovuti occupare?
Non sto in nessun modo incentivando la nuova generazione di albergatori a trasformarsi in una categoria di colletti bianchi incapaci di avvitare una vite.
Al contrario, per fare l’albergatore serve un forte spirito di sacrificio e il senso pratico ha sempre fatto e sempre farà la differenza.
Per quanto formalmente gli hotel siano aziende di servizi, lavoriamo con “cose e persone”, quindi è obbligatorio mantenere un contatto diretto con la realtà. Questo, però, è un rischio davvero limitato perché la realtà ci sbatte in faccia il promemoria ogni girono.
Il problema caso mai è contrario.
La maggior parte degli albergatori, infatti, sono ancora giornalmente inghiottiti da attività manuali a bassissimo valore aggiunto.
Inoltre, seppur si dimostrino (a bocce ferme) perfettamente consapevoli di questo enorme limite organizzativo, ad un ogni apertura, puntualmente, ricadono nel tunnel dell’operatività.
Così, dal momento che ho troppa stima di certe persone per pensare che lo facciano “per distrazione”, ho investito parecchio tempo ad indagare per capire insieme a loro i veri motivi di questo reiterato malcostume.
E sai cosa è emerso dalle confessioni a microfoni spenti?
Che molto spesso la causa è il senso di colpa.
Quello che succede è che, pur studiando, aggiornandosi e comprendendo l’importanza di creare procedure, delegare e dedicarsi alle priorità imprenditoriali, c’è una vocina nel subconscio che li riporta sempre sulla vecchia strada.
La vocina dice più o meno così:
“Ma se i miei nonni/genitori, che hanno costruito l’hotel, per 30 anni si sono sempre sporcati le mani cucinando, servendo ai tavoli, facendo lavori di manutenzione etc., chi sono io per pensare di gestire l’hotel dalla scrivania dedicandomi solo ai numeri, alle persone e alle attività di concetto?”.
E attenzione, perché qualora non sentano la vocina nella propria testa, spesso ci pensano proprio i suddetti nonni/genitori a mettere in scena una reprimenda cantata in grado di sopprimere le velleità manageriali anche del più audace degli eredi.
“Bene”, sappi che non sei solo. Ora che hai preso coscienza del problema, portandolo dallo stato inconscio allo stato conscio, non puoi più permetterti di ignorarlo.
Devi, il prima possibile, fare un reset della tua impostazione mentale e installare un nuovo mindset perché, oggi, gli hotel che crescono sono quelli guidati da imprenditori, mentre gli albergatori che sono ancora invischiati nell’operatività perdono competitività ogni giorno.
L’eredità di chi ha fondato l’albergo non si onora facendo sacrifici inutili che portano solo a perdere lucidità e a farti odiare il mestiere.
Se vuoi imparare un metodo di comprovata efficacia che ti permetta di migliorare fatturato e margini del tuo hotel, consentendoti di vivere una vita che meriti di essere vissuta, rimani connesso.
Hotel familiare: la crisi del passaggio generazionale
Uno dei temi più complessi in assoluto legati alla gestione di un hotel familiare è sicuramente il passaggio generazionale.
A tal proposito, anche quest’anno diversi aspiranti imprenditori si sono rivolti a noi in cerca di supporto.
Ora, nella maggior parte dei casi si tratta di ragazzi educatissimi e assolutamente ben disposti a rispettare la famiglia e fare la propria parte per conquistarsi un ruolo nel tempo. A volte, invece, arrivano carichi di frustrazione perché “soffocati” da una gerarchia troppo stringente che impedisce loro di crescere gradualmente nel proprio percorso imprenditoriale.
Come detto, si tratta di una situazione difficile, ad alto carico emotivo, con conseguenze che possono letteralmente mandare al tappeto anche le realtà più strutturate (oltre alle persone che ne fanno parte).
Sarò più specifico: ho visto più hotel saltare per un mancato passaggio generazionale, che a causa di errori “tecnici”.
Partiamo quindi dalle basi per fare un po’ di chiarezza.
Imprenditori non si diventa per “discendenza”.
Non basta avere un padre o una madre albergatori, ereditare un immobile e una partita iva per acquisire la qualifica. Questo passaggio è tanto banale quanto controintuitivo perché le competenze si acquisiscono con la pratica, il tempo e gli errori.
Altra cosa importante da capire è che non si tratta solo di competenze tecniche come marketing, revenue e controllo di gestione poiché, in realtà, la singola competenza che un imprenditore di successo deve padroneggiare è quella di “prendere decisioni”. Qui la faccenda si complica perché, per imparare a prendere decisioni, serve “un muscolo” che si allena… Prendendole.
Proprio per questo tu non sarai un imprenditore finché non imparerai a misurarti con i risultati e le conseguenze delle tue decisioni, ma allo stesso tempo non imparerai mai se non te le lasciano prendere.
Come si risolve quindi? Bella domanda.
Partiamo dal dire come NON si risolve (perché purtroppo l’ho visto centinaia di volte).
Non si risolve trattando gli eredi come bambini fino ai loro 50 anni, impedendogli di sbagliare, imparare e guadagnare autostima.
Non si risolve, da parte di chi subentra, pensando di aver capito tutto prima di iniziare perché “i vecchi ormai sono bolliti”.
Mi dispiace dirvelo (è contro il mio interesse), ma davvero non basta aver partecipato a due corsi e aver letto due articoli on-line per avere tutte le risposte.
E’ molto più complicato di così. La transizione deve avvenire in maniera graduale.
Le nuove generazioni devono esplorare, studiare, imparare e portare nuove idee in casa, consapevoli di non poter cambiare con un click un metodo (giusto o sbagliato che sia) applicato da anni.
La vecchia guardia deve concedere uno spazio, un reparto, un ambito di competenza dove i giovani possono sperimentare e misurarsi con i risultati delle proprie scelte, senza compromettere l’andamento generale di un’azienda.
Tutto questo va fatto presto. Non si può rimandare il processo per decenni.
Le aziende, per essere proiettate nel futuro, hanno bisogno di nuova linfa, energie, coraggio e quel pizzico di incoscienza che, oltre ad una certa età, si riduce fisiologicamente. Purtroppo, invece, il continuo spirito di protezione genitoriale fa danni che a volte diventano irreversibili. Questo perché, se l’erede 50enne di un’attività che fattura qualche milione deve chiedere il permesso per un investimento di poche migliaia di euro, non svilupperà mai quell’autonomia decisionale necessaria per prendere il timone quando sarà obbligato a farlo.
Ecco perchè il “vecchio re”, per quanto animato dall’animal istinct che gli ha permesso di ottenere risultati negli anni, deve capire che arriva un momento in cui deve gradualmente defilarsi, interpretando il ruolo di prezioso consigliere, per vedere crescere l’azienda guidata da qualcuno che ne sviluppi il potenziale tramandandone i valori nel tempo.
Perché non basta un algoritmo per far crescere il tuo hotel nell'era del cuore?
Se non ti è immediatamente chiaro il titolo di questo post significa che non hai partecipato all’ultima edizione di Albergatore Pro… E questo è male! 🙂
Soprattutto perché ti sei perso l’occasione di assistere ad uno degli speech più sentiti di sempre, durante il quale lo psicologo Luca Mazzucchelli ci ha parlato di come prosperare nell’era del cuore.
Ora, prima che lo scetticismo ti imbruttisca, ho deciso di scrivere un post per spiegarti come applicare, nel concreto, uno degli insegnamenti ricevuti e toglierti subito dalla testa l’idea che ad Albergatore Pro ci crogioliamo con definizioni da Baci Perugina.
Facciamo un breve riassunto.
Secondo la teoria evoluzionistica del nostro Luca, la società occidentale ha attraversato 3 diverse ere economiche contraddistinte da 3 diversi fattori chiave:
- L’era del corpo: per millenni, nel mondo del lavoro, la differenza l’ha fatta il fisico. La forza motrice data dall’impiego di braccia ha generato il proletariato e la visione di mettere al mondo figli per aumentare la forza lavoro e, quindi, il benessere delle famiglie.
- L’era della mente: con la seconda rivoluzione industriale, l’occidente estende e consolida la propria presenza nel mondo. Il suo prestigio si fondava sulla superiorità nel campo scientifico e tecnologico, oltre che sulla potenza industriale e capitalistica.
- L’era del cuore: con internet e la terza rivoluzione industriale, la tecnologia cresce esponenzialmente fino a generare l’intelligenza artificiale e, di fatto, l’algoritmo si sostituisce all’uomo anche per compiti concettuali (prossimamente parlerò di chat gpt). Nasce così l’era del cuore, con le persone che fanno la differenza rispetto a bot e robot grazie alla capacità di provare, comprendere e gestire emozioni.
Ok Gian Marco, interessante questo trattato sociologico, ma io cosa me ne faccio per gestire il mio hotel?
Andiamo dritti al punto.
Come avrai notato, siamo in piena fase di inflazione con il record storico dal 1984 che si aggiorna di mese in mese. I prezzi, di qualunque cosa, aumentano.
In un contesto simile, per chi gestisce un’attività, aumentare i prezzi non è una velleità, è questione di sopravvivenza. Al contempo il turismo vola e l’incremento prezzi degli hotel in Italia viaggia ad una velocità quasi doppia rispetto all’economia generale (mediamente abbiamo registrato un + 10/15% dal 2021 al 2022).
Ma sapete cosa? La corsa al rialzo non è finita.
I previsionali mostrano come, durante l’inverno appena trascorso, gli hotel in montagna abbiano venduto di nuovo ad un +10/15% sull’anno precedente. Per chi lavora con il turismo internazionale, con una booking window più ampia, i dati sulla prossima estate confermano la tendenza.
Per far fronte a questa ascesa e non perdere opportunità, centinaia di albergatori si stanno dotando di software per la gestione automatica o semi-automatica delle tariffe (RMS). In pratica, questi software si affidano ad un algoritmo che incrocia storico, previsionale, pressione della domanda, prezzi dei competitor e ritmo delle prenotazioni per elaborare un’ipotesi di prezzo.
La verità? Sono sempre più precisi.
Tuttavia, i dati e le elaborazioni NON sempre vengono sfruttate a pieno da chi utilizza gli strumenti.
Facciamo un esempio pratico con numeri provenienti dalla strada.
A Positano la crescita negli ultimi 3 anni è stata da record.
Ora però, sapete cosa blocca gli albergatori dall’applicare tariffe che superano frequentemente i €1.000 a notte? Il pudore, la vergogna, il senso di inadeguatezza.
Mi spiego meglio.
Nella maggior parte dei casi si tratta di alberghi strutturalmente competitivi gestiti con grande professionalità da famiglie che hanno fatto dell’ospitalità la propria missione da tre generazioni. Ciononostante… Il blocco sta tutto nell’emotività di chi gestisce e ha grande difficoltà ad aggiornare nella propria testa il valore del proprio hotel o, se preferite, dell’esperienza che offre ai propri ospiti rispetto ai valori di mercato.
In pratica il ragionamento è molto semplice: “Io Gian Marco mi vergogno di vendere a €1.200 le stesse camere che due anni fa vendevo a €7-800”.
Bei problemi, penseranno molti di voi, ma, a prescindere dal valore assoluto, ragionamenti simili sono diffusi praticamente in tutta Italia. L’algoritmo suggerisce un dato: le emozioni di chi poi deve ricevere gli ospiti al check-in mettono un freno.
Ora, premettendo che il principio è nobile e a casa propria ognuno applica le regole che vuole, è giusto sottolineare che, non attuando gli incrementi che il mercato sarebbe pronto ad assorbire, l’effetto sarà un’immediata riduzione della MARGINALITA’.
E sapete perché?
Perché chi vi vende il pesce, la lavanderia e i vostri dipendenti non avranno lo stesso pudore e vergona quando sarà il momento di trattare le nuove condizioni.
Quindi? Come si risolve?
In primis c’è da fare un lavoro di separazione tra l’hotel, inteso come azienda, e la propria emotività. Nessuno dice di vendere a prezzi assurdi correndo il rischio di subire un’importante calo di reputazione. Al contempo, non saranno 1-2-3 recensioni negative su 100 a definire come scadente il vostro lavoro.
Mentre lavorate su questa “separazione” però, sappiate che in alcuni hotel abbiamo risolto il problema in modo facile e indolore dividendo le competenze.
Chi fa i prezzi non fa i check-in, chi fa i check-in non fa i prezzi.
Perché ricordatevi sempre che, nella maggior parte dei casi, in un’epoca di crescente consapevolezza digitale, chi prenota un hotel ha capito perfettamente dove si trova, i servizi offerti, come sono fatte le camere e quali sono i riferimenti di destinazione. Quindi, al momento della prenotazione, salvo rari casi, chi prenota ha già accettato il prezzo come ok e con molta più serenità rispetto a voi.
Detto questo, gestire le proprie emozioni è una competenza DECISIVA, non soltanto per la gestione delle tariffe.
E’ decisiva per il passaggio generazionale, per il rapporto con i collaboratori ed ospiti.
L’era del cuore è già qui, perciò o ne prendi atto e fai un upgrade delle tue competenze mettendo in discussione i tuoi principi gestionali, oppure vedrai ridurre i tuoi margini anno dopo anno.
Siamo qui per offrirti il supporto di cui hai bisogno, contattaci!
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